Del pensiero liberale

E del perché tutti dicono di esserlo ma nessuno lo dimostra.

Il liberalismo è morto, assassinato da tutti quelli che dopo la fine della prima repubblica ne hanno rivendicato la bandiera. Da Berlusconi a D'alema, da Casini a Rutelli, passando per gli ex democristiani, gli ex-socialisti, gli ex-missini, la Lega, tutti prima o poi si sono detti liberali (e/o liberisti) o hanno rivendicato quei principi.
Eppure oggi di liberali doc non c’è traccia. Alcuni scrivono, spesso in modo critico, sui giornali; i pochi parlamentari eletti hanno un ruolo marginale e si rivedono solo nei convegni.

Perché?

A mio avviso per un equivoco. Il liberismo economico viene visto come la sopraffazione del profitto sulla giustizia sociale, come la vittoria del capitale sul lavoro, come l’esaltazione del furbo rispetto al debole in una contrapposizione fra Individuo e Collettività.

Adam Smith, padre del liberismo e, a mio avviso, frettolosamente accostato al mercantilismo ottocentesco, viene ricordato più per “La ricchezza delle Nazioni” che per la “Teoria dei sentimenti morali”.

Dunque è scomodo, politically uncorrect, andare fino in fondo. Meglio agitarlo come slogan alla bisogna e poi ammainare la bandiera quando è il momento di fare sul serio.

Al mercato, inteso come luogo all’interno del quale la domanda di beni e servizi incontra l’offerta, viene attribuita, ad esempio, la colpa della crisi finanziaria, perché il mercato, nell’accezione che colpevolmente diamo a questo termine, è una “giungla regolata dalla legge del più forte”. Non è forse il liberismo che sostiene che ci vuole meno Stato, meno controlli, meno regole?

Ma è davvero così?

Partendo da un’analisi della situazione italiana, analizzando i provvedimenti legislativi adottati dal nostro Parlamento, vorrei si sviluppasse una discussione su quanto c’è rimasto in dote del pensiero liberale e su quanto quegli ideali sono stati rispettati o disattesi.

 

Esiste in effetti una corrente di pensiero anarco-liberista che fa capo all'economista austriaco Von Hayek che sostiene che i mercati hanno la capacità di autoregolamentarsi.

Questo principio, secondo me, avrebbe un valore in mercati "perfetti". Ma, come ben sappiamo i mercati sono tutt'altro che perfetti.

 

B. di liberista ha forse solo il suo conto in banca

In uno stato veramente liberale l'anomalia di cui parli sarebbe stata risolta in una settimana:wink:

 

Forse sarebbe nata, non nei modi che conosciamo /emoticons/wink@2x.png 2x" width="20" height="20">

 

Per ora questa discussione è ad uso e consumo del sottoscritto, praticamente sto parlando davanti ad uno specchio /emoticons/biggrin@2x.png 2x" width="20" height="20"> (e non ne sono sorpreso)

 

hai ragione...sei babbo natale...mi passi un biscotto? /emoticons/biggrin@2x.png 2x" width="20" height="20">

Si, spesso il libertario apaprtiene ad un altro mondo

Il liberale ritiene che il miglioramento delle condizioni sociali si ottenga attraverso il miglioramento delle condizioni di ogni singolo individuo. Per raggiungere questo obiettivo i limiti alla sua libertà sono rappresentati dalla analoga libertà degli altri. Lo Stato, attraverso le regole, vigila che questa sfera di libertà non venga travalicata.

Rispetto al socialismo cambia il mezzo, non il fine.

Il liberista (vero, non quello modello Shangai) applica lo stesso principio all'economia: ciascun cittadino deve avere pari opportunità di miglioramento delle proprie condizioni economico-sociali.

Si può essere liberali senza essere liberisti (difficile), ma non liberisti senza essere liberali.

 

Non se la crescita avviene in un mercato competitivo nel quale tutti sono nelle stesse condizioni.

Faccio un esempio terra-terra e probabilmente a te caro.

Non mi interessa che Berlusconi sia diventato proprietario, attraverso le acquisizioni, di Italia 1, Rete 4 e tutto il resto; mi interessa che non ci siano più decreti come quello che fece Craxi a suo favore.

 

Infatti la premessa è che l'Italia non è, non è mai stato, uno stato liberale.

L'anarco-liberismo pretende che il mercato controlli se stesso e questo, concordo, è impossibile perché in assenza di regole sovrane non è perfetto.

Sull'intervento dello Stato in economia faccio un altro esempio:

è giusto che aziende statali si mettano in concorrenza con i privati per produrre beni di consumo?

risposta: no

è giusto che lo Stato intervenga con propri mezzi là dove per un privato l'offerta di beni e servizi è antieconomica?

risposta: si (le tasse sennò a cosa servono?).

 

Interessante esperimento in vista: mentre in Europa i governi, anche quelli conservatori, alzano le aliquote fiscali e adottano una politica di rigore dei conti, in Canada il premier Harper taglia l'iva, l'imposte sul reddito e quelle sulle imprese.

Fra un po' di tempo potremo osservare quale delle due ricette ha favorito lo sviluppo e con quali effetti.